Il lavoro con l’animale si fonda sull’assunto di base che una corretta relazione con gli animali influisca positivamente sul benessere della persona, facendole sperimentare situazioni stimolanti utili per raggiungere un adeguato sviluppo motorio, intellettivo, emotivo e psicologico.
Numerose ricerche hanno dimostrato come solo il contatto con un animale sia in grado di diminuire la frequenza cardiaca, respiratoria e la pressione arteriosa (Allen, Shykoff & Izzo, 2001), ridurre l’ansia (Barker, Rasmussen & Best, 2003), abbassare i livelli di cortisolo nel sangue e aumentare il livello di endorfine, ossitocina, prolattina, dopamina e alcune amine biogene responsabili dell’innalzamento dell’umore e della sensazione di benessere (Prothmann, Bienert & Ettrich, 2006). Ma non si tratta solo di questo. L’animale è “socialmente neutrale”: è assente il pregiudizio, la competizione, l’emarginazione, restituisce accoglimento e accettazione incondizionata.
È un essere vivente diverso dall’uomo, e ci offre stimoli utili al confronto, all’osservazione, all’esplorazione e all’apprendimento. Favorisce la conoscenza di diversi canali di comunicazione e di espressione, stimola la capacità di ascolto e di comprensione di linguaggi non verbali, utilissimi per la prevenzione di incidenti dovuti a una scorretta relazione con l’animale. In questo modo aumentano le pulsioni comunicative, si implementano le reazioni empatiche, viene stimolata la fantasia.
È un grande motivatore, soprattutto per i bambini, che spesso, impauriti, sofferenti e sfiduciati, faticano a comprendere che la terapia per loro è necessaria. Basti pensare a un bambino che deve fare fisioterapia in stanza dopo un brutto incidente o dopo un’ustione: come convincerlo a collaborare? Sicuramente allungare un braccio per accarezzare un cane o per tirargli la pallina ha un significato diverso che farsi manipolare dal fisioterapista in modo passivo. L’animale è anche un importantissimo “mediatore”: funge da contenitore tutelando l’alleanza terapeutica; favorisce il decentramento catalizzando l’attenzione, è l’oggetto transizionale utile ai bambini per separarsi con più sicurezza dalle figure genitoriali; è un “oggetto semi-animato” su cui riversare proiezioni, identificazioni proiettive…; è un elemento che rende il setting non medicalizzato, meno preoccupante e più accogliente, favorendo “l’umanizzazione della cura”.
È un “facilitatore sociale”, un “acceleratore della relazione”, che facilita l’alleanza terapeutica, mettendosi in gioco per primo. L’animale, che deve essere adeguatamente formato e rispondere a determinati requisiti, diventa quindi uno “strumento terapeutico”, agendo come stimolo positivo per attivare l’utente e permettergli livelli di prestazione maggiori e miglior utilizzo delle capacità residue.
La possibilità di stare all’aria aperta, l’opportunità di potersi prendere cura di un essere vivente, di sentirsi utile e di uscire dal proprio egocentrismo legato alla propria disabilità, disagio o condizione ha sempre reso questi interventi un’esperienza unica e irripetibile, sia per gli utenti che per gli operatori coinvolti, anche quelli inizialmente più scettici.
aggiornato al 29/07/2019